La rivoluzione archeologica parte dall’Egitto ….”La piramide impossibile”

La ricostruzione ufficiale della storia antica dell’umanità appare sempre più insoddisfacente alla luce di numerose prove archeologiche. Quanto si dovrà attendere per una revisione radicale delle tesi ortodosse?

I mass media hanno battezzato ‘Egittomania’ il proliferare nelle librerie di pubblicazioni dedicate ai misteri dell’Antico Egitto. I detentori dell’ortodossia dormono sonni tranquilli, poiché sono convinti che certe teorie “fantasiose e strampalate” incontrano i favori del pubblico grazie all’atmosfera mistica che pervade la  fine del millennio. In realtà il lettore è poco informato sulla pretesa solidità scientifica delle teorie tradizionali, le quali non forniscono spiegazioni convincenti sui metodi utilizzati per la costruzione dei grandi templi di Giza, visto che gli Egizi della IV Dinastia (attorno al 2600 a.C.), a cui si attribuisce la paternità della più grande e sofisticata opera in pietra della storia, non lasciarono alcuna testimonianza scritta in proposito. Due problemi tecnici sono cruciali:
il sollevamento di enormi massi e il taglio e levigatura delle pietre.

 EGITTOLOGIA UFFICIALE E FONTI CLASSICHE 
Esaminiamo le conclusioni tratte da due autori “ortodossi” completamente in antitesi: l’egittologo Georges Goyon nel libro Il segreto delle grandi piramidi, il fisico Kurt Mendelssohn in L’enigma delle piramidi.
 A parere del primo è sufficiente mettere in opera, piano su piano, strati (corsi) orizzontali digradanti di muratura a partire dalla base prestabilita, mentre il secondo ritiene necessaria la costruzione preliminare di un nucleo a gradoni (con i contrafforti inclinati verso l’interno come la piramide di Zoser a Saqqara), su cui ancorare il riempimento successivo che definisce la forma della piramide.
 Questo è l’unico modo, dice Mendelssohn, basandosi sull’osservazione della piramide crollata di Meidum, che permetta ai costruttori di apporre sulla sommità un segnale da traguardare per dare la corretta pendenza agli spigoli. In caso contrario l’angolo di inclinazione dovrebbe essere calcolato alla base con la precisione della frazione di grado per essere sicuri di posizionare correttamente il vertice (fig.1-2).

Figura 1

Figura 1. Con i mezzi a loro disposizione, gli egizi non avrebbero potuto innalzare correttamente una piramide dal livello del suolo, poichè non si può correggere un errato allineamento degli spigoli in una fase successiva di costruzione. Un piccolo errore di soli 2° avrebbe portato a uno sfasamento di 15 metri al vertice di una delle piramidi di Giza.

Figura 2

Figura 2. Una struttura a gradini costituisce sempre il nucleo di una vera piramide. I suoi contrafforti danno stabilità e un traguardo, o contrassegno, posto sulla cima, serviva ad allineare in modo corretto gli spigoli della piramide.

Questo, comunque, non doveva essere un problema per gli artefici della Grande Piramide, la cui base è formata da 4 lati uguali a meno dello 0,1% di tolleranza, 4 angoli retti con uno scarto di pochi secondi di grado, ed è orientata verso il nord geografico con l’errore di 3’ di grado. Mendelssohn riconosce che le grandi piramidi non potevano essere soltanto le tombe dei faraoni, ma ammette che gli egizi del III millennio a.C., pur essendo architetti formidabili, erano pessimi matematici; infatti il famoso rapporto di 2p tra il perimetro della base e l’altezza sarebbe un risultato fortuito (fig.3).

Figura 3

Figura 3. La sorprendente precisione con cui il rapporto tra altezza e perimetro nella Grande Piramide rappresenta la quadratura del cerchio 1/2p, fu probabilmente dovuta al fatto che gli egizi devono aver misurato lunghe distanze orizzontali facendo ruotare un cilindro e contando il numero delle sue rivoluzioni. In questo modo, essi sarebbero arrivati al numero trascendente p = 3,141… senza rendersene conto.

Ritiene, inoltre, che una manodopera volontaria di circa 70.000 persone (composta di operai specializzati permanenti e contadini stagionali) fosse impiegata nella costruzione di diverse piramidi contemporaneamente. Però, non indica alcuna soluzione ai problemi tecnici del cantiere, limitandosi ad immaginare l’utilizzo di rulli e piani inclinati per il trasporto dei blocchi e di leve per il loro sollevamento.
A tale proposito, Goyon ha invece le idee chiare. Egli rifiuta decisamente alcune soluzioni proposte da altri colleghi nel passato, che prevedevano l’uso in serie di macchinari come argani di sollevamento, con pulegge e montacarichi di legno, o il fantomatico “elevatore oscillante”(fig.4), sia  perché non si ha traccia di carrucole o ruote tra i reperti archeologici, sia perché tali metodi sarebbero troppo lenti.

Figura 4

Figura 4. Elevatore oscillante.

E’ da scartare anche l’utilizzo in grande scala dei rulli di legno (se privi di cerchiature metalliche) per fare rotolare i massi, inefficienti su terreno sabbioso, per di più in un paese povero di legname resistente adatto allo scopo.  Al contrario, sostiene che sia stato sufficiente tirare i blocchi su tregge di legno, delle slitte molto familiari agli egizi del Medio Regno (fig.5), lungo rampe ascendenti poco ripide (circa 3° di inclinazione, 5% di pendenza) e ricoperte di argilla bagnata per renderle scivolose.

Figura 5

Figura 5. Trasporto di una statua colossale. Da una figurazione tombale della XII dinastia.

Ma la famosa rampa non può essere perpendicolare al monumento, altrimenti, a costruzione ultimata (a 147 m di altezza), occuperebbe una lunghezza di 3 km sulla piana di Giza e un volume triplo della piramide stessa. Diventerebbe quindi un’opera gigantesca, ancora più onerosa, da realizzare anch’essa tramite giganteschi blocchi di pietra, non certo con materiale di riporto. Per cui, a prima vista, appare convincente l’idea di Goyon di costruire una rampa avvolgente (fig.6), cioè un rilevato di mattoni  che si sviluppa a spirale per 3 km, appoggiandosi sulle pareti già costruite (fig.7).

Figura 6

Figura 6. Rampa avviluppante proposta da Goyon.



Figura 7

Figura 7. Sezione della grande piramide con la rampa avvolgente di mattoni.

Si ha così il vantaggio di costruire la rampa una sola volta (nell’altro modo bisogna rifare la spianata della rampa ad ogni corso); ma lo svantaggio di impedire la vista dell’allineamento degli spigoli.
A questo punto occorre ricordare che la maggior parte dei circa 2.300.000 blocchi di calcare e arenaria che costituiscono la Grande Piramide di Giza ha, mediamente, un volume di 1 m cubo (equivalente a quasi 3 tonnellate di peso), ma, sorprendentemente, con l’altezza della costruzione le dimensioni aumentano a 10-15 t (NOTA 1), e la Camera del Re, collocata a 45 m di altezza è realizzata con megaliti da 50-70 t.
Dunque, Goyon prova a giustificare la sua teoria con il calcolo.

 

Figura 8
Figura 8. Analisi delle forze agenti sulla slitta

 

In figura 8 è schematizzata una rampa inclinata di un angolo a, con la forza peso P del blocco scomposta nelle sue componenti tangenziale e perpendicolare. La forza T necessaria ad applicare il movimento è data dalla componente del peso lungo il piano inclinato più la forza di attrito (proporzionale alla forza che schiaccia la slitta sulla superficie), che, per la bassa pendenza (a= 3° 30’), risulta predominante. m è il coefficiente di attrito posto pari a 0,25 , persino ottimistico considerato che si tratta di legno che striscia su argilla (notare che, per l’attrito radente di ruota di locomotiva su rotaia ferroviaria, si assume m= 0,3):

 

T= P sen a + m P cos a = 0,06 P + 0,25 P = 0,31 P

 

Si stima, poi, la forza che ogni addetto al traino può  presumibilmente esercitare, in modo continuo per un lungo periodo di tempo, tra i 10 e i 15 kg .  Per un blocco di 40 t risulta un tiro di 12 t, che, ripartito su operai dalla forza media di 12 kg ciascuno, fa circa 1000 persone. Ma il brillante Goyon si accorge che sono obiettivamente troppi (per problemi di manovra e di sovraccarico della rampa) e preferisce accettare un coefficiente minimo di attrito o addirittura sopprimerlo (testualmente, pag.81), riducendo così la forza a solo 2,5 t, la manodopera a 200 uomini. Seguendo il suo ragionamento, se il piano fosse orizzontale, basterebbe dare una spintarella al blocco per vederlo levitare su questa magica rampa scivolosa. In questo modo, anche il trasporto dei blocchi più “piccoli” da 3 t risulta molto più agevole: 20 uomini invece di 80. Ecco come la scienza moderna interpreta uno sconcertante enigma della civiltà umana (sottotitolo dell’opera).
Ma non basta. Goyon deve tenere basso il numero degli addetti ad ogni squadra di traino perché altrimenti essi non potrebbero girare attorno alle curve a gomito della rampa, che, con una larghezza di  17 m, forniscono uno spazio utile di manovra in diagonale di circa 15-20 m. Inoltre, la rampa sarebbe costruita con mattoni crudi, cioè argilla impastata con paglia ed essiccata al sole, rinforzati con traverse di legno atte a conferire al rilevato resistenza a trazione, secondo una tecnica costruttiva (già nota ai Sumeri) documentata nel Nuovo Regno durante la XIX dinastia, 1000 anni dopo l’epoca delle piramidi. Perciò i 1500-1800 uomini necessari a trasportare un blocco da 70 t, non solo non possono girare ad angolo retto (divisi in 15 file, devono comunque sviluppare le funi per 100 m in linea retta, poiché non vi sono carrucole), ma producono un ulteriore sovraccarico distribuito, superiore a 100 t, estremamente gravoso per una struttura, la cui sicurezza andrebbe calcolata con le formule prescritte in ingegneria geotecnica per la cosiddetta ‘terra armata’. Infatti il continuo bagnamento della superficie provocherebbe infiltrazioni nel corpo dell’opera ed i mattoni assumerebbero la consistenza plastica dell’argilla umida.
Tutto ciò appare ancor più improbabile alla luce del ritmo fenomenale di costruzione tramandatoci dalle fonti classiche. Lo storico greco del V secolo a.C. Erodoto, nelle sue Storie, riferisce che il faraone Cheope costrinse 100.000 dei suoi sudditi a lavorare come schiavi alla costruzione della sua tomba, durante il periodo di 3 mesi all’anno di inondazione del Nilo. Il lavoro durò 30 anni (di cui 20 per la messa in opera dei blocchi) e venne svolto con sistemi di armature in forma di gradinate, utilizzando macchine formate da travi corte. Gli egittologi considerano queste affermazioni, che sono l’unico collegamento storico tra la IV dinastia e la Grande Piramide, come verità assolute, quando in realtà, sono delle dubbie voci riferite oralmente da sacerdoti vissuti 2000 anni dopo.
 Ad esempio, Goyon è soddisfatto poiché la sua ricostruzione confermerebbe la storia di Erodoto, a patto di considerare le slitte come le famose ‘macchine’. Secondo lui è accettabile che, lavorando ininterrottamente ogni giorno per 20 anni, 12 ore al giorno, si riescano a porre in opera i circa 2.300.000 m cubi di pietra al ritmo di 355 m cubi al giorno, vale a dire mediamente 1 traino ogni 2 minuti; mentre non è accettabile che lavorassero solo durante la pausa estiva con la velocità quadrupla di 2 blocchi/min. Secondo i suoi calcoli sarebbe sufficiente una manodopera di 20.000 uomini, di cui, solo tra quelli impiegati al lavoro sulla piramide, circa 5000 addetti a cavare le pietre, 2000 impiegati nel traino (non realistico, come si è visto), 700 muratori per la posa in opera. Anche nel caso più favorevole dobbiamo immaginare la rampa che resiste per tutta la vita a centinaia di sollecitazioni giornaliere di carichi mobili trascinati con una organizzazione infallibile. E soprattutto fantasticare sull’abilità tecnica dei posatori delle pietre che in pochi minuti devono decidere la giusta collocazione in base al progetto, articolare alla perfezione le camere interne maneggiando blocchi di decine di tonnellate, il tutto con strumenti sconosciuti.
In altri brani, i sacerdoti di Eliopoli raccontano ad Erodoto che il periodo predinastico egizio era durato quanto il tempo che impiega il sole a sorgere due volte dal posto in cui tramonta, il che interpretato alla luce del fenomeno della precessione degli equinozi, significa circa 40.000 anni (NOTA 2).
E allora, quanto delle fonti classiche si può ritenere credibile? Viene accolto ciò che si conforma agli schemi mentali degli archeologi, mentre ciò che è estraneo viene considerato un’invenzione letteraria. Si pensi, ad esempio, alla storia di Atlantide descritta nel Timeo e nel Crizia di Platone. Il filosofo greco sostiene con precisione che una grande civiltà visse 9000 anni prima della sua epoca in un territorio grande come l’Asia Minore che si estendeva al di fuori del Mediterraneo, cioè nel vero Oceano attraverso cui si può raggiungere un altro continente. I ricercatori ortodossi, invece, insistono nel dire che egli aveva compiuto un errore decuplo nelle dimensioni e nella datazione, e aveva scherzato sulla collocazione. In realtà la sua Atlantide era l’Isola di Thera nel Mar Egeo, distrutta da un’eruzione vulcanica verso il 1500 a.C., come è stato ribadito ultimamente da un documentario televisivo e dal recente libro Atlantide il continente ritrovato. Questa evidente forzatura è chiaramente sponsorizzata dalla comunità archeologica ufficiale per la sua comodità.
Ma il problema fondamentale è che, per convenienza, si evita di esaminare obiettivamente certi anacronismi tecnologici, scartandoli come anomalie della teoria dominante. Ciò è esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare uno scienziato quando trova delle prove che mettono in dubbio un ipotesi precedente. E’ credibile che una civiltà dell’età del rame abbia accumulato 21 milioni di tonnellate di pietre in circa 1 secolo, di cui 12 milioni solo a Giza, realizzando qualcosa che si discostava completamente da quanto mai realizzato sia prima che dopo? Gli egittologi ribattono che solo durante la IV dinastia lo stato centralizzato egizio permise lo sfruttamento di una forza lavoro obbediente così enorme, e vedono nelle costruzioni della III dinastia il progresso tecnico che si è concluso con la perfezione di Giza. In realtà la questione non è il numero degli addetti, ma la loro dotazione tecnologica. Per quanto riguarda l’evoluzione lampo dell’ingegneria egizia, si esaminino le candide osservazioni di Mendelsshon, nel seguito.
 Verso il 2700 a.C. il faraone Zoser (III dinastia) fa costruire a Saqqara la prima piramide a gradoni, realizzata con pietre piccole e maneggevoli. Poi si rileva il crollo della piramide di Meidum, in cui il riempimento esterno, male ancorato, slittò sul nucleo interno. Attorno al 2650 a.C. a Dahshur,  con Snefru (il padre di Cheope, IV dinastia) si progettano piramidi molto più grandi: quella a doppia inclinazione (52° in basso, 43° in alto, 3,6 milioni di tonnellate di massa, 102 m di altezza) e la piramide rossa (con le facce a 43° più stabili, M= 4×10^6 t, h= 101 m). Queste ultime sono realizzate con blocchi più grandi che nel passato e mal squadrati. Ciò comporta l’insorgenza, nella massa della costruzione, di sensibili tensioni laterali  che vanno compensate inclinando verso l’interno gli strati di muratura, e tenendo bassa l’inclinazione delle pareti.
 Per correggere tali difetti, la generazione successiva, dopo il 2550 a.C., decide di intraprendere le opere utilizzando massi molto più grandi e perfettamente squadrati, in questo modo, grazie alla perfetta aderenza dei corsi (giuntati con la tolleranza di 0,2 mm), si sviluppano prevalentemente tensioni verticali, e si può dunque ritornare alla pendenza maggiore di 52° gradi con la più massiva piramide di Cheope (M= 6,2×10^6 t, h= 147 m) che, comunque, mantiene ancora una raffinata inclinazione interna (fig.9).

Figura 9

Figura 9. Allo scopo di fornire ulteriore stabilità, le file di materiale costruttivo nella piramide di Cheope vennero disposte con andamento leggermente concavo rispetto al vertice della piramide.

Presumendo che la scienza delle costruzioni egizia avesse esclusivamente una base empirica, senza alcuna teoria matematica per calcolare le pressioni, bisogna chiedersi come fecero a dimensionare correttamente i particolari delle camere interne al terzo tentativo. Il soffitto a incorbellamento (già presente a Dahshur) della Grande Galleria e il tetto della Camera del Re (NOTA 3), sono gravati da un peso mai sperimentato fino ad allora. E i particolari costruttivi degli interni denotano una capacità di spostare blocchi di decine di tonnellate in spazi ristrettissimi, con piccola manodopera. Sotto il successore Chefren ci si accorge che il lavoro è ancora migliore se si costruisce la base della seconda piramide di Giza (M= 5,3×10^6 t, h= 140 m) con monoliti di granito da un centinaio di tonnellate l’uno. Ma, contestualmente, gli strumenti tecnici utilizzati dagli egizi rimanevano gli stessi oggetti di legno e rame usati fin dalla I Dinastia (3100 a.C.), in palese contrasto con la facilità di esecuzione dei monumenti megalitici della IV dinastia.
 Studiando dei modellini di legno ritrovati nelle tombe del Nuovo Regno, Osvaldo Falesiedi ha tentato recentemente di risolvere questo problema, realizzando delle macchine per il sollevamento basate sul principio modificato della “culla” (fig.4), accolte entusiasticamente dal Museo Egizio di Torino. Ciò getterebbe una nuova luce sul racconto di Erodoto, ma, il modellino proposto (fig.10) per il  posizionamento dei blocchi nella camera del Re, non è stato testato in vera grandezza, è molto inefficiente (il peso si solleva di 20 cm ogni doppia oscillazione) e, soprattutto, non viene spiegato dove andrebbe montata tale armatura durante la costruzione della piramide (si pensi che i gradini sono larghi poche decine di centimetri).

Figura 10

Figura 10. Macchina proposta da Osvaldo Falesiedi.



Con la piramide di Micerino, piccola (M= 0,6×10^6 t, h= 65 m) ma perfettamente realizzata in blocchi di granito rosa, si conclude l’epoca delle meraviglie. Una delle sue camere interne, scavate direttamente nel sottosuolo, è sormontata da un tetto a spiovente formato da enormi lastroni, quasi schiacciati contro la soprastante parete rocciosa. Quindi devono essere stati sollevati dal basso, in uno spazio ampio appena (4×2,5) m.
 Le successive V e VI dinastia, fino al 2300 a.C., costruiscono i loro monumenti funebri ad Abusir e Saqqara, con pessimi risultati. Ufficialmente, questi cumuli di macerie testimonierebbero l’improvviso collasso della capacità organizzativa e costruttiva egizia.

UNA TECNOLOGIA INSPIEGABILE 
Come spiegare, poi, i risultati sofisticati ottenuti nella lavorazione delle pietre? Gli scalpelli primitivi di rame sono forse sufficienti a incidere e scavare una roccia sedimentaria come il calcare, con un lavoro paziente. Mentre non sono stati ritrovati strumenti adatti per la squadratura geometrica di grandi blocchi. Bisognerebbe usare una sega abbastanza lunga e rigida (magari di bronzo, purtroppo non disponibile nell’Antico Regno) ed un abrasivo come la sabbia di quarzo, per ottenere un risultato simile a quello che si ottiene, ad esempio oggi, nel taglio del marmo (usando una sega a filo liscia e smeriglio). Eppure gli antichi egizi lavoravano con grande facilità il granito e la diorite, rocce ignee tra le più dure esistenti in natura, formate da una miscela di diversi minerali tra cui quarzo. E’ certamente possibile spezzare la roccia forzando una fessura naturale con un cuneo di legno che si dilata impregnandosi d’acqua. Ma qui si parla di tagli millimetrici. La diorite non si può lavorare nemmeno con il ferro; ciò nonostante è stata finemente modellata nella splendida statua di Chefren, presumibilmente con uno strumento più duro. In petrografia, la disciplina che classifica le caratteristiche fisiche delle rocce, i parametri che misurano la segabilità e la logorabilità per attrito attestano che, mediamente, l’arenaria è 2 volte più dura del calcare compatto; granito, basalto e diorite, sono 4 volte più duri. La tecnologia odierna per tagliare in modo efficiente  blocchi di granito usa come abrasivo la polvere di diamante o di carborundo (carburo di silicio, un minerale sintetico simile al diamante). Vanno ricordati alcuni elementi sulla scala di durezza relativa dei minerali, che va da 1 a 10: 2= gesso, 7= quarzo, 8= smeriglio, 9= carborundo, 10= diamante.
Quindi, non è dato sapere come sia stato lavorato quello che viene considerato il sarcofago di Cheope. Questo parallelepipedo di granito, intagliato esternamente alla perfezione, è stato scavato all’interno in un modo che ha sconcertato l’egittologo del XIX secolo Flinders Petrie: devono aver usato un cilindro perforatore rotante, sul quale andrebbe esercitata una pressione enorme, superiore a 1 t. Come evidenziato da Colin Wilson in Da Atlantide alla SfingeChristopher Dunn ha dimostrato, con strumenti moderni, che diverse superfici in granito lavorate nell’antichità sono lisce al 1/50 di millimetro, e che gli strumenti utilizzati nella perforazione erano più efficienti di quelli odierni. Analizzando la spirale del taglio su alcune “carote” (cilindri prodotti dalla trivellazione) di granito rinvenute a Giza, si può calcolare la velocità di penetrazione del trapano rotante nella roccia: 2,5 mm a giro, contro i 2/1000 di mm a giro scavati da un trapano moderno, che funziona a 900 giri/minuto. Ciò non può essere ottenuto, ovviamente, con un cilindro di rame azionato a mano e sabbia di quarzo, come vorrebbero gli egittologi ufficiali. Dunn suggerisce una tecnologia basata sulle vibrazioni ad alta frequenza (una specie di martello pneumatico che vibra alla frequenza degli ultrasuoni), compatibile con l’indagine microscopica condotta su un foro praticato nel granito: il trapano aveva tagliato più velocemente il quarzo, rispetto al feldspato (minerale più tenero). Ovviamente, una simile tecnologia non è raggiungibile con i mezzi di 4500 anni fa.
Una vasta produzione di vasellame in diorite, basalto e quarzo rinvenuta a Saqqara e a Naqada, risalente ad epoca predinastica (4000 a.C.), è ancora più inconcepibile. Diverse coppelle sono incise con iscrizioni nettissime spesse 0,16 mm (prodotte perciò con punte resistentissime da 0,12 mm). Vasi, anfore e altri oggetti comuni sono arrotondati e modellati con simmetria in un modo che si può ottenere solo con la lavorazione al tornio, presentano una superficie perfettamente levigata, quasi lucida. Una lente di cristallo è talmente perfetta da sembrare molata meccanicamente. Alcuni recipienti hanno un elegante collo allungato e sottilissimo, e sono internamente cavi: questo significa che la roccia è stata scavata da fuori, attraverso un’apertura che non permette nemmeno il passaggio di un dito, un’operazione che anche oggi è semplicemente impossibile. Un passo avanti significativo sarebbe quello di riconsiderare, almeno, le conoscenze metallurgiche normalmente attribuite agli Egizi, contraddette da alcuni oggetti di bronzo e da una lamina di ferro ritrovati in un condotto della Grande Piramide. Questi, rinvenuti nel XIX secolo, furono “smarriti”, e saltarono fuori dai sotterranei di un museo nel 1993. Secondo tradizioni antichissime, i costruttori delle piramidi avevano lasciato strumenti di ferro e armi che non arrugginivano, e vetro che si piegava senza rompersi, e strane formule magiche.

 

Ferro
Figura 11. Lamina di ferro ritrovata nella muratura della piramide di Cheope

 

ANOMALIE E ANALOGIE TRA EGITTO E SUD AMERICA 
Tipicamente, chi cerca delle risposte ad anomalie del genere è un ricercatore indipendente, dalla attitudine mentale aperta. Professionisti in discipline diverse dall’archeologia si rivolgono direttamente al vasto pubblico, con i loro saggi divulgativi, poiché l’egittologia accademica li allontana dal riconoscimento scientifico, disprezzandoli come ciarlatani, ignoranti dei fondamenti di storia e archeologia. In realtà si sta accumulando una mole di prove scientifiche che minano profondamente le idee preconcette sulla storia dell’Antico Egitto e, indirettamente, della civiltà umana in generale. Il semplice fatto che nessuno, per un secolo, abbia messo in discussione ciò che si insegna sui libri di storia, al riguardo dell’età delle piramidi, non implica che sia la verità definitiva. Anzi, è arrivato il momento di introdurre una nuova ipotesi di lavoro per lo scenario preistorico, che riesca a  risolvere una serie “enigmi”.
Negli anni ‘90 un’équipe di studiosi guidata dall’egittologo John West ha tentato di mettere in dubbio il dogma ufficiale. Il geologo Robert Schoch notò un’evidenza sperimentale che è sempre stata sotto gli occhi di tutti: il corpo della Sfinge e l’adiacente Tempio della valle di Chefren sono stati erosi dalla pioggia.

 

Il Tempio della valle
Figura 12. Una veduta del Tempio della valle di Chefren

 

La famosa statua metà uomo metà leone fu scolpita approfondendo una cava nell’altopiano di Giza, che è una stratificazione sedimentaria di diversi calcari. Tutti gli edifici in pietra della civiltà egizia presentano i consueti segni dell’erosione eolica: la sabbia portata dal vento incide più profondamente le rocce più tenere, in modo uniforme. Il risultato è uno schema orizzontale: ad esempio un fronte di roccia stratificato diventa una successione di sporgenze (roccia compatta) e incavi (roccia tenera). I fianchi e le pareti della fossa della Sfinge sono gli unici monumenti egizi che presentano anche un modello di erosione verticale, con forme arrotondate e profondamente incise (fino a 2 m), tipico dell’azione continua di intense precipitazioni che si rovesciano a cascata giù per i fianchi.  Naturalmente gli egittologi “seri”, dopo la prima reazione irrazionale volta a negare l’evidenza, si sono sforzati di trovare spiegazioni alternative poco convincenti: la causa sarebbe l’inondazione periodica del Nilo (ma il plateau di Giza non è rialzato?) o le infiltrazioni di umidità all’interfaccia sabbia-calcare.
Le osservazioni di West destano scalpore perché degli ultimi 4500 anni la Sfinge ne ha trascorsi 3000 sepolta sotto la sabbia, quindi protetta dagli agenti atmosferici usuali in un clima desertico. Invece per trovare delle piogge di intensità tale da giustificare il forte degrado del corpo, bisogna risalire al periodo pluviale che caratterizzò il Nord Africa tra il 7000 a.C. e l’11000 a.C., al termine dell’ultima glaciazione.

 

L'erosione della Sfinge
Figura 13. L’erosione verticale presente sulla Sfinge

 

Inoltre il Tempio funerario della valle, attribuito a Chefren, è stato realizzato con i blocchi estratti dalla fossa della Sfinge, riconoscibili dalla stratigrafia e dall’erosione tipica. Questi ultimi sono monoliti calcarei ancora più grandi di quelli utilizzati per le piramidi: alcuni raggiungono il volume di 100 m cubi ed un peso di 260 t. Blocchi come quelli, alti più di 3 m, sono stati squadrati nella fossa e poi sollevati in verticale, prima di essere messi in opera. Ciò è veramente inconcepibile se si pensa che oggi al mondo esistono solo 3 o 4 gru capaci di sollevare un carico superiore alle 200 t (per paragone si pensi alle gru che manovrano i container nel porto di Genova, che sopportano un carico massimo nominale di 60 t).

 

Il Tempio della valle
 Figura 14. Il Tempio funerario della valle

 

Come fa notare Graham Hancock in Impronte degli Dei, l’architettura megalitica del Tempio somiglia in molti punti alla tipica composizione “a puzzle” che si osserva nelle mura di Machu Picchu e Sacsahuamàn in Perù (qui si trovano  blocchi da 300 t).

Le mura di Sacsahuamàn
Figura 15. Le mura di Sacsahuamàn, in Perù


Le rovine di Machu Picchu
Figura 16. Le rovine di Machu Picchu

Anche quel poco che rimane del rivestimento delle grandi piramidi, spesso riutilizzato nel medioevo come materiale da costruzione, evidenzia la tecnica raffinata di incastrare blocchi poligonali con giunture a spigolo irregolari. Purtroppo non potremo mai sapere se anche il rivestimento di calcare bianco della Grande Piramide, oggi quasi del tutto assente, fosse solcato dai segni della pioggia.
Il complesso Seconda piramide-Sfinge-Tempio della Sfinge-Tempio della valle, intimamente interconnesso, è attribuito in blocco al faraone Chefren e datato attorno al 2500 a.C., esclusivamente in base a indizi contestuali. Il Tempio a Valle era pieno di statue del faraone quando fu dissepolto, mentre sulle pareti delle colonne non è inciso alcun geroglifico. Il volto della Sfinge dovrebbe essere il ritratto del figlio di Cheope, ed invece non assomiglia assolutamente a quello della sua famosa statua, anzi denota, addirittura, tratti somatici razziali differenti. Si afferma che la testa della Sfinge (ben conservata), sia stata scolpita per prima, ricavata in uno strato di calcare molto più resistente rispetto a quello immediatamente sottostante che forma il corpo (pesantemente degradato). Quest’ ultimo sarebbe così friabile che soltanto 3 secoli dopo la costruzione furono necessarie le integrazioni di mattoni delle zampe anteriori. In realtà, come risulta chiaro a chiunque osservi la Sfinge di lato, la testa è sproporzionatamente piccola rispetto al corpo: essa è un elemento estraneo riscolpito molto più tardi, probabilmente quando la testa originaria (di leone?) era ormai irriconoscibile a causa dell’erosione. Inoltre Thomas Dobecki, geofisico collaboratore di West, tramite l’analisi geosismica, ha evidenziato che l’alterazione superficiale del calcare penetra nel corpo per 0,9 m nella parte posteriore, 2,4 m in quella anteriore, dimostrando che furono scolpite a millenni di distanza una dall’altra. La geologia ci conferma qualcosa di cui, stranamente, erano convinti egittologi come Gaston MasperoAuguste MarietteFlinders Petrie, all’inizio del secolo, e cioè che la Sfinge era già antica al tempo di Chefren, che ne fu il restauratore. Ciò è documentato dalla Stele della Sfinge, eretta da Tutmosi IV faraone della XVIII dinastia, ed erroneamente interpretata. Egli, dopo aver liberato la mitica statua dalle sabbie, riconobbe al suo antico predecessore lo stesso ruolo, apponendo ilcartiglio di Chefren.
Nel Tempio della valle, si distingue chiaramente lo stacco tra i monoliti giganteschi e la struttura di rivestimento in granito a dimensione più “umana”. Incomprensibilmente, anche nel Tempio Mortuario di Micerino si alternano blocchi di calcare da 200 t e inserzioni di mattoni in fango e gesso. Un altro monumento megalitico controverso è l’Osireion di Abido. Esempio unico di struttura a Dolmen, con enormi ed anonimi parallelepipedi di granito fino a 200 t, circondato da un muro di cinta in arenaria spesso 6 m, si trovava profondamente sepolto sotto i sedimenti quando fu scoperto nel 1914. Nonostante fosse subito chiaro che si trattava di un tempio antichissimo, in seguito esso venne considerato il cenotafio del faraone Seti I della XIX dinastia, che costruì il suo tempio nelle vicinanze. Ciò in base a frammenti sparsi che riportano iscrizioni del 1300 a.C.. Eppure il pavimento dell’Osireion si trova 15 m al di sotto di quello del tempio suddetto, i suoi pilastri sono immersi nella falda freatica.

 

L'Osireion di Abido
Figura 17. L’Osireion di Abido

 

In verità l’intera necropoli di Giza è oggetto di un clamoroso equivoco. Tenendo presente la consuetudine storica dei faraoni di appropriarsi dei monumenti sacri dei predecessori, la prospettiva si capovolge completamente. Le pareti interne delle grandi piramidi sono del tutto prive di iscrizioni, bassorilievi, formule rituali, così come le camere non ospitarono mai la mummia di alcun faraone (solo nella piramide di Micerino fu trovata una sepoltura di epoca più tarda). Questo fatto viene spiegato, nel caso di Cheope, chiamando in causa fantomatici predatori che avrebbero trafugato tutto il tesoro sepolcrale passando attraverso un’apertura di 90 cm. Pure l’architettura scarna dei monumenti citati sembra estranea allo stile ornamentale tipico dell’Antico Egitto. I corsi inferiori della Seconda Piramide e alcuni Templi Funerari sono riconducibili alla medesima tecnica e concezione costruttivamegalitica, su cui si legge la stratificazione e l’inserzione di elementi architettonici molto meno giganti. Una fotografia scattata dal vertice della Piramide di Chefren evidenzia che i corsi inferiori, con blocchi colossali di granito, formano uno spigolo perfettamente allineato, mentre quelli superiori, con blocchi più modesti, sono posizionati con maggiore approssimazione.

 

La piramide di Chefren
Figura 18. La piramide di Chefren

 

Ora le piramidi di Meidum e Dashur ci appaiono non come il prototipo di quelle grandi, ma come il tentativo di imitare un modello perfetto già esistente. L’unico riferimento scritto all’interno della Grande Piramide fu scoperto nel 1837 dal colonnello Howard Vyse in una delle camere di scarico. Si trattava dei cosiddetti marchi di cava, dei graffiti che riportano il cartiglio di Cheope (ripresi durante la recente trasmissione Misteri dedicata all’argomento). E’ insostenibile pensare che l’artefice della più grande tomba della storia abbia lasciato la propria firma soltanto in un angolo sperduto, con dei segni pitturati che possono essere stati aggiunti in qualsiasi epoca, forse dallo stesso Vyse. Infatti i geroglifici erano disegnati rovesciati o con errori di grammatica, segno evidente di contraffazione. Tutte le prove archeologiche che rimandano alla IV dinastia sono intrusive: stele, bassorilievi con geroglifici, vasellame e statue furono sempre trovati all’esterno delle piramidi, nei numerosi complessi funerari (mastabe) attigui ai colossi di pietra, costruiti con tecniche più semplici e compatibili con i mezzi limitati di 4500 anni fa. Questo vale anche per le tre cosiddette piramidi minori (o sussidiarie) di fianco alla Grande, dedicate, si dice, ai familiari del sovrano.
Al contrario, una stele ricoperta di geroglifici risalenti alla XXI dinastia (I millennio a.C.) conferma tutti i sospetti. La Stele dell’Inventario, trovata da Mariette nel 1850, è una copia posteriore di un originale eretto da Cheope per commemorare i suoi restauri al Tempio di Iside: egli sostiene che molto tempo prima del suo regno,  esisteva già la Casa della Sfinge accanto alla Casa di Iside, Padrona della Piramide (presumibilmente la Grande), e che fece costruire la propria piramide e quella della figlia Henutsen, ai piedi di quella di Iside. Quindi un documento storico autentico afferma che la tomba di Cheope è una delle 3 modeste piramidi minori: un fatto troppo scandaloso per gli egittologi che lo scartano come un’opera di narrativa inventata, poiché troppo recente. Ciò è ovviamente un pretesto ingiustificato; si ricordi che le storie di Erodoto, che narrano fatti accaduti 2000 anni prima, sono oro colato.
Non avendo un metodo affidabile di radio-datazione delle pietre, in mancanza di documenti storici che confermino ciò che gli archeologi hanno deciso essere la verità, ci si limita ad attribuire l’età agli insediamenti antichi dai resti umani organici, che si possono datare in base al tempo di decadimento del carbonio radioattivo (C14). Secondo Zahi Hawass, direttore del Museo Archeologico del Cairo, l’attribuzione in base al contesto è conclusiva. Ma il fatto di aver trovato le sepolture di migliaia di operai nella necropoli di Giza non implica che fossero i costruttori delle piramidi, esattamente come gli abitanti di Roma dell’Alto Medioevo non progettarono il Colosseo. Il fatto che le loro colonne vertebrali fossero deformate dallo sforzo di spostare grandi pesi non significa che portassero i blocchi da 50 t sulla testa.
Il professor David Bowen del Dipartimento di scienze della terra dell’Università del Galles ha elaborato un metodo di datazione basato sull’isotopo radioattivo Cloro-36, che può fornire una stima del tempo trascorso da quando una roccia fu esposta per la prima volta all’atmosfera. Dei test preliminari, eseguiti sulle “pietre azzurre” di Stonehenge nel ‘94, fornirono un’età superiore ai 14.000 anni, contro i 4000 normalmente accettati. In attesa di un esame simile sulle pietre di Giza, per avere una stima approssimata dell’età del sito, ci si può affidare all’archeoastronomia, applicata con successo proprio nel campo dell’Ingegneria megalitica europea (NOTA 4).

CONFERME DALL’ARCHEOASTRONOMIA 
Questa giovane branca dell’archeologia si cura di identificare gli allineamenti astronomici dei monumenti antichi, ricostruendo la configurazione della volta celeste come doveva apparire all’epoca della loro costruzione. Come spiega l’ingegnere ed egittologo Robert Bauval in Il Mistero di Orione, la posizione relativa e la massa delle 3 grandi piramidi di Giza rispecchiano fedelmente la configurazione e la magnitudine delle 3 stelle della cintura di Orione. La simmetria perfetta nella proiezione ideale tra la volta celeste e la superficie terrestre si ottiene in una data attorno al 10450 a.C., in coincidenza con la minima altezza sull’orizzonte raggiunta da Orione nel suo moto precessionale. Quindi l’inizio del ciclo di Orione coinciderebbe con il cosiddetto Primo Tempo (Tep Zepi) della tradizione egizia, nell’era astrologica del Leone. Infatti la Sfinge (il leone) è un indicatore equinoziale puntato precisamente a Est, costruito per fissare l’epoca in cui il sole, all’equinozio di primavera, sorgeva in quella costellazione (tra l’8700 a.C. e il 10800 a.C.). L’intima connessione tra l’astronomia e la concezione religiosa degli egizi viene confermata dai 4 condotti obliqui che partono dalle camere della Grande Piramide, erroneamente definiti “di aerazione”. Quelli meridionali puntano, rispettivamente, sulla costellazione di Orione (Osiride) e sulla stella Sirio (Iside, Sothis), però, all’altezza a cui attraversavano il meridiano di Giza nel 2450 a.C., a indicare, secondo Bauval, che il progetto di Giza fu intrapreso nel XI millennio a.C. e ultimato dai faraoni. Di diverso parere è il professor A.N. dos Santos, docente di fisica nucleare in Brasile. Le sue argomentazioni si basano sul funzionamento dell’antico calendario sotiaco egizio, in cui l’anno solare è di  365 giorni. Il ritardo accumulato (circa 1 giorno ogni 4 anni) non viene recuperato, e va di pari passo con lo spostamento della stella Sirio, per cui, dopo un Ciclo Sotiaco di 1507 anni(NOTA 5) il calendario ritorna al punto di partenza e si celebra l’Anno Sotiaco. Risultano anni sotiaci il 10410 a.C. (in ottimo accordo con Bauval), e soprattutto l’11917 a.C., in cui ebbe inizio il calendario, secondo i calcoli di dos Santos. Ciò sarebbe confermato dall’allineamento astronomico della Grande Piramide con Vega, la stella polare di 14000 anni fa, e dal ritardo di 3-4 giorni accumulato nelle date dei solstizi tra il 12000 a.C. e l’anno zero .
Anche diversi siti archeologici del nuovo continente andrebbero retrodatati. In Bolivia, a 3800 m di altitudine, tra le gigantesche rovine di Tiahuanaco, si trovano i resti di un porto anticamente situato sulle rive del lago Titicaca (moli con blocchi fino a 440 t), e una grande piramide a gradoni semidistrutta (originariamente 210 m di base per 15 m di altezza, perfettamente orientata a Nord). Oggi, stranamente, la città si trova 30 metri più in alto dell’attuale linea di costa, e la sua costruzione viene fissata attorno al 500 d.C., ad opera della civiltà Inca, una cultura priva persino della ruota. Ancora una volta la datazione in base al contesto degli insediamenti non dimostra nulla e contraddice la logica, secondo cui un rivolgimento geologico di tali proporzioni non può essere avvenuto in breve tempo, addirittura nell’era cristiana. Invece la datazione archeoastronomica del professorArthur Posnansky, basata sull’obliquità dell’eclittica (NOTA 6), sposterebbe l’innalzamento delle mastodontiche pietre indietro al 15000 a.C.. Ciò concorda con diversi frammenti di vasellame e con i fregi visibili sulla celebre Porta del Sole, che raffigurano teste di elefanti, toxodonti e altri mammiferi estintisi in Sud America tra il 12000 a.C. e il 10000 a.C.. Queste osservazioni, note fin dagli anni ’30, riprese dallo scrittore Peter Kolosimo negli anni ’70, sono respinte perché contraddicono il modello di popolamento delle Americhe, i canoni di sviluppo dell’uomo nella preistoria, e confermano i sospetti di una grande catastrofe climatica e geologicache coincise con la fine dell’ultimo periodo glaciale, il cui ricordo è impresso nel mito del Diluvio Universale, comune a tutti i popoli della Terra.

CIVILTA’ DEL PERIODO GLACIALE 
Lontano dai consueti preconcetti sulla preistoria dell’uomo, il buon senso suggerisce che popolazioni come gli Egizi dinastici e gli Incas si stabilirono nei pressi delle vestigia di una civiltà precedente, scientificamente e tecnologicamente avanzata, a cui loro davano un significato magico-religioso.
 Sia le tradizioni orali riferite dagli indigeni peruviani ai cronisti spagnoli del XVI secolo che le fonti storiche egizie definiscono i giganti di pietra come l’opera degli Dei civilizzatori, della perduta Età dell’oro: un ricordo trasfigurato del passato, tramandato oralmente di generazione in generazione. Di nuovo si incontra il tipico filtro delle informazioni storiche: la Pietra di Palermo (V dinastia, 2500 a.C.), il Papiro di Torino e l’Elenco dei Re di Abido, scolpito da Seti I (XIX dinastia, 1300 a.C.), la storia d’Egitto redatta da Manetone, sacerdote di Eliopoli (III a.C.), gli scritti degli storici greci Erodoto (V a.C.) e Diodoro Siculo (I a.C.) sono tutti considerati fonti attendibili della storia egizia dinastica, mentre vengono ignorati quando parlano della lunghissima era predinastica, il Primo Tempo, durata 30.000 o 40.000 anni.

 

L'elenco dei re di Abido
Figura 19. Particolare dell’elenco dei re dal tempio 
di Ramses II, ad Abido (Londra, British Museum)

 

Gli archeologi del XX secolo segnano un netto confine tra l’invenzione della scrittura, con Menes (primo faraone della storia), e le vicende precedenti, considerate pura mitologia. Presentano la cronologia delle dinastie storiche con una precisione ingannevole, quando invece essa si basa solo sul conteggio probabile delle generazioni (si pensi che il celebre Champollion negli anni ’30 fissava l’inizio della I dinastia al 5867 a.C., oggi stimato al 3100 a.C.). Viene dato per certo che l’Egitto predinastico fosse popolato esclusivamente da popolazioni neolitiche. Invece, prove archeologiche incontestabili, finora opportunamente ignorate, dimostrano il contrario.
E’ logico che la cultura dell’Antico Regno sia comparsa improvvisamente, con la sofisticata mitologia astronomico-religiosa, la complessa grammatica geroglifica già pienamente formate? Come è possibile che gli Indiani nordamericani Micmac usassero una scrittura geroglifica formata da decine di simboli appartenenti alla scrittura corsiva (ieratica) egizia? Il professor Barry Fell, in America BC, del 1976, ha dimostrato che gran parte degli ideogrammi coincidono sia nel disegno che nel significato. Si ha la sensazione che manchino diversi capitoli della storia antica. Alcune prove del passato dimenticato si trovano in siti archeologici noti e, come si è visto, erroneamente datati. Ma la maggior parte delle testimonianze devono ancora essere scoperte, perché nessuno guarda nei posti giusti. Alcuni egittologi affermano che le sabbie del Sahara nascondono ancora la maggior parte della storia egizia; secondo J.West bisognerebbe cercare lungo le rive del Nilo antico. Alla fine dell’800 era inconcepibile immaginare una civiltà precedente a quella egizia, eppure, seguendo le indicazioni dell’Antico Testamento e sfidando la pubblica derisione dei colleghi, un gruppo di archeologi scavò in Mesopotamia e trovò i resti di Sumer, un’altra civiltà improvvisa e rivoluzionaria che, nel IV millennio a.C., era già socialmente e scientificamente evoluta, con un bagaglio di conoscenze astronomiche superato solo nel XIX secolo (NOTA 7). Questo dovrebbe insegnarci a esaminare le tradizioni e la mitologia delle antiche culture sotto una prospettiva diversa.
Se qualcuno sospetta che una civiltà preistorica sia vissuta durante l’ultima glaciazione, ci si aspetta di trovare numerosi insediamenti sommersi dall’aumentato livello degli oceani, il che è puntualmente avvenuto. Nel 1968, l’archeologo Manson Valentine rilevò accuratamente un muro di 600 m, formato da grandi massi poligonali che si trovano a 7 m di profondità, al largo di Bimini nelle Isole Bahamas. L’esame del C14 su delle mangrovie fossilizzate, lo farebbe risalire al 9-10000 a.C. Sui bassi fondali circostanti furono spesso osservate forme geometriche e piramidali da parte di diversi aviatori. Nei pressi delle Isole Canarie esiste una piramide a gradoni. Chilometriche strade rettilinee partono dalle coste dello Yucatàn e della Florida per perdersi nell’Atlantico. Analogamente diversi allineamenti di menhir, sulle coste dell’Europa occidentale, continuano in mare, mentre sul fondo del lago di Loch Ness è stato fotografato un cromleck (cerchio di pietre).

 

Menhir a Carnac (Francia)
Figura 20. Allineamento di menhir a Carnac (Francia)

 

Le segnalazioni di porti sommersi nell’Oceano Indiano e Pacifico, in particolare tra l’Indonesia e l’Oceania non si contano. Proprio nel 1997 un’équipe di oceanografi giapponesi, coordinata dal professor Kimura, ha scoperto le rovine di un’antica civiltà, nelle acque dell’arcipelago Ryu Kyu, nel Mar del Cina (tra il Giappone e Taiwan): una telecamera subacquea ha ripreso palazzi, scalinate e piramidi.
Un altro problema è l’esplorazione di luoghi resi inaccessibili dalle mutate condizioni climatiche o da vincoli politici. Una recente spedizione archeologica ha scoperto nella Siberia meridionale, un gruppo di piramidi a gradoni. In alcune fotografie scattate nel 1975 da satelliti meteorologici che sorvolavano l’area di Pantiacolla, in Perù, si distingue un gruppo di grandi piramidi nascoste dalla vegetazione. Nella pianura di Qin Chuan e nella valle diQin Lin, nella provincia Shensi, della Cina centrale, in un’area di 2000 km quadrati si trovano un centinaio di enormi piramidi in terra, alcune simili a quelle di Teotihuacan. Come quelle centroamericane, sotto alla copertura di terreno, potrebbero nascondere monumenti in pietra. Furono osservate per la prima volta negli anni ’40, ma ancora oggi nessuno le ha studiate.

 

Piramidi cinesi
Figura 21. Una veduta delle piramidi cinesi



Pramide cinese
Figura 22. Una piramide cinese

 

Nel 1993 l’ingegnere Rudolf Gantenbrink scoprì una nuova camera segreta all’interno della Grande Piramide, raggiungibile attraverso il condotto Sud della Camera della Regina; contemporaneamente, le indagini sismiche della squadra di J.West mostrarono una vasta camera scavata al di sotto della Sfinge. Da allora, nessuna altra ricerca ufficiale è stata intrapresa, mentre West è stato allontanato da Giza.
L’archeologia è una scienza empirica ancora apertissima a nuove scoperte.  Forse sarebbe l’ora di adeguare la teoria alle evidenze sperimentali, anche se ciò significa ammettere un secolo di ingenuità e danneggiare il prestigio di certe autorità intoccabili del campo.
Perché solo in un passato remoto gli uomini si divertivano a spostare, senza sforzo apparente, blocchi di centinaia di tonnellate? Si ricordi il Menhir Brise in Bretagna, di età indefinibile, che, quando era integro, misurava 23 m di altezza e pesava più di 300 t; oppure le fondamenta del Tempio di Giove a Baalbek, in Libano, con un blocco da 900 t.

 

Il menhir Brise
Figura 23. Il menhir Brise, in Bretagna, alto 23 metri e pesante oltre 300 t.

 

Perché conoscenze astronomiche sofisticate, di gran lunga esuberanti rispetto alle necessità dell’agricoltura, spuntano in culture dalle scarse realizzazioni tecniche? Normalmente sono le civiltà marinare ad affinare l’astronomia per gli scopi dell’orientamento e della navigazione. Né i Sumeri, né i Maya navigavano, eppure questi ultimi (900 a.C -1000 d.C.), privi di strumenti adatti, elaborarono un calendario formidabile che stimava la durata dell’anno solare in 365,2420 giorni (il risultato più preciso di tutti i tempi dopo quello ottenuto dalla scienza europea), calcolava il periodo delle fasi lunari al secondo ed era tarato sui cicli astronomici di Venere per mantenersi preciso nei millenni. Il sistema numerico vigesimale e il calendario maya erano, peraltro, un’eredità degli Olmechi, una popolazione apparentemente non autoctona (NOTA 8), insediatasi nel Messico sud-orientale dal 1500-1200 a.C.. Civiltà raffinate come quella egizia, sumera e olmeca, sorte all’improvviso per poi declinare lentamente, hanno i caratteri di un retaggio del passato e non di un progresso coerente. Esse sono le sopravvivenze di un’evoluzione culturale iniziata millenni prima, che si arrestò ad un certo punto della storia.

EREDITA’ DEL PASSATO 
Questa civiltà dimenticata, ha lasciato, su tutto il pianeta, le sue impronte materiali (piramidi, architettura megalitica) e culturali (miti, simboli religiosi comuni); per cui sarebbe riduttivo identificarla con l’isola platonica di Atlantide. Essa ci ha anche lasciato in eredità una cartografia dettagliata della terra: si tratta di mappe nautiche che furono disegnate da cartografi medievali copiando dei documenti, forse originariamente conservati nella Biblioteca di Alessandria. Tali carte raggiungono un livello di precisione inspiegabile, riportando la longitudine corretta (NOTA 9) di località distanti fra loro migliaia di chilometri, rilevando la presenza di terre ancora sconosciute all’epoca della loro compilazione. In alcune mappe si osservano calotte glaciali sul Nord Europa, il Sahara occupato da una verde pianura ricca di fiumi e laghi, un lembo di terra al posto dello stretto di Berings: caratteri morfologici compatibili con il clima dell’era glaciale tra il 15000 a.C. e il 10000 a.C.. Ma la più celebre è la carta di Piri Reis, che riporta, tra l’altro, la topografia della penisola antartica libera dai ghiacci (come dimostrò uno studio dell’Aeronautica statunitense nel 1960, commissionato dal professor Charles Hapgood, autore di Mappe degli antichi Re dei mari) e faceva parte di un planisfero ottenuto attraverso una proiezione centrata nei pressi del Cairo, che denota l’utilizzo di trigonometria sferica.

 

Mappa di Piri Reis
Figura 24. La mappa di Piri Reis

 

Confronto tra la mappa di Piri Reis e la costa attuale

Figure 25-26. Confronto tra la mappa di Piri Reis e la linea di costa attuale

Recentemente, nella necropoli di Giza e ad Abido, sono state disseppellite delle imbarcazioni che si pensa siano servite a scopi rituali, traghettando il corpo del faraone lungo la corrente del Nilo. Diversamente, esperti in archeologia nautica, come Thor Heyerdahl e Cheryl Haldane, hanno mostrato che le loro prue alte e affusolate sono ideali per affrontare la navigazione in mare aperto e che il loro disegno, del tutto simile a quello delle barche di giunco del Lago Titicaca, rivela un alto livello di esperienza in questo campo.
Il puzzle della nostra preistoria è senz’altro incompleto, ma molti pezzi vanno al loro posto, fornendoci un quadro nettamente più logico e coerente di quello ufficialmente consacrato. Si è visto che numerose datazioni convergono in un periodo compreso tra il 12000 a.C. e il 10000 a.C., un’epoca che ha visto improvvise estinzioni di massa tra i mammiferi (si ricordino i mammuth siberiani congelati) e l’inversione dei poli magnetici terrestri. Subito dopo, attorno al 9500 a.C., iniziano i primi esperimenti di agricoltura, contemporaneamente e agli antipodi della Terra: nei pressi del Lago Titicaca, sugli altopiani etiopici, e su quelli thailandesi. La rivoluzione agricola è il primo passo verso la formazione della civiltà. Non sembra più così remota l’eventualità che una catastrofe planetaria abbia troncato lo sviluppo di una precedente civiltà umana. Inoltre questa nuova prospettiva non toglie dignità alle pur civilissime culture storiche le quali tentavano di perpetuare un sapere e una forma di civilizzazione sofisticata, con mezzi insufficienti.  Allora che cosa impedisce alla comunità scientifica di prendere in considerazione tale ipotesi?
 Probabilmente si tratta di un pregiudizio consolidato dalla nostra civiltà industriale, che si considera l’apice dell’evoluzione intellettuale dell’uomo, vista come un cammino lineare e ininterrotto. Questa visione rassicurante, residuo del positivismo ottocentesco, postula che gli strumenti della scienza moderna detengano il primato nel livello di comprensione dell’universo. Invece, con il progredire della nostra tecnologia, le informazioni provenienti da un remotissimo passato acquistano nuovi significati.
Testi delle Piramidi, cioè i geroglifici che ricoprono le pareti della camera funeraria della piramide di Unas (V dinastia), sono la trascrizione di antichissime tradizioni predinastiche. Secondo G.Hancock, essi sembrano il tentativo di esprimere complesse immagini tecniche e scientifiche in un idioma del tutto inappropriato. Nell’800, i primi traduttori del Mahabarata e del Ramayana (poemi epici che trascrissero antichissime tradizioni orali dell’India) ebbero difficoltà a comprendere le descrizioni dettagliate dei mezzi volanti (Vimana) e dei diversi effetti prodotti dalle armi degli dei: grandi esplosioni che sterminano istantaneamente uomini e animali, paralisi, ustioni, contaminazione del cibo, colonne di fuoco che si alzano nel cielo, pioggia di zolfo (tipico della Bibbia). Queste narrazioni verranno considerate delle fantasiose coincidenze da chiunque non sappia che la città diMohenjo Daro, nella valle dell’Indo, fu distrutta da un’ondata di calore inspiegabile, incompatibile sia con un normale incendio che con fenomeni naturali conosciuti. Analisi condotte dal CNR di Roma, negli anni ‘70, per conto di David Davenport, esperto di letteratura sanscrita, hanno dimostrato che vasellame e pietre furono sottoposte ad una temperatura superiore a 1500 °C, sufficiente a vetrificare le mura della città.

 

Le rovine di Mohenjo Daro
Figura 27. Le rovine di Mohenjo Daro (Pakistan)

 

La potenza di elaborazione raggiunta dall’informatica ha permesso di trovare nuove risposte ad antichi interrogativi. Maurice Cotterel, ingegnere e programmatore, grazie ad una sofisticata simulazione al computer, ha riprodotto l’andamento dei campi magnetici del Sole. Oltre a confermare l’origine elettromagnetica del fenomeno delle macchie solari, egli ha scoperto diversi cicli regolari nella radiazione in arrivo sulla Terra (tra cui un ciclo di 28 giorni e un grande ciclo di 1.366.040 giorni), ipotizzando di aver trovato la causa della inversione periodica dei poli geomagnetici. Le sue deduzioni portano a riconsiderare l’origine autentica dell’astrologia, il ricordo degenerato di ciò che gli antichi sapevano sull’influenza dei campi elettromagnetici sulla biologia terrestre: ogni periodo mensile (segno zodiacale) è caratterizzato dall’irraggiamento di vento solare con prevalenza di ioni positivi (segni di fuoco e aria) oppure ioni negativi (segni di terra e acqua). Inoltre egli ha evidenziato la connessione tra il ciclo delle macchie solari e il calendario maya che, attraverso un macchinoso sistema numerico, giungeva a calcolare il cosiddetto Lungo Computo di 1.366.560 giorni. Va ricordata l’ossessione maniacale che le civiltà precolombiane messicane avevano per lo scorrere del tempo, e la loro concezione della storia dell’umanità, ciclicamente distrutta da catastrofi naturali.
Considerazioni simili valgono anche per altre discipline che, probabilmente, sono l’eredità di una scienza dimenticata, basata su un rapporto più diretto tra i sensi e le energie dell’ambiente. La medicina tradizionale cinese(come l’agopuntura), il Feng-Shui (l’arte di collocare le abitazioni in armonia con l’ambiente), la rabdomanzia sono esempi di conoscenze antiche, contaminate nei millenni da rituali esoterici.
Secondo C.Wilson una possibile chiave di lettura per interpretare i misteri del passato sta proprio nel rapporto magico-spirituale sviluppato dai nostri antenati con l’ambiente. Indagini recenti evidenziano la natura duale del cervello umano. Wilson ritiene che, da quando fu introdotta la scrittura, gli uomini vivano un’esistenza alienata, governata a livello cosciente dall’emisfero cerebrale sinistro (facoltà analitiche e razionali), e a livello subcosciente dall’emisfero destro (facoltà artistiche e intuitive). Al contrario l’uomo della preistoria, coltivando le capacità della memoria e un approccio intuitivo alla realtà, godeva di un’armonica fusione dei due emisferi, ideale per lo sviluppo delle capacità extra-sensoriali della mente, come telepatia, telecinesi, visione lontana e l’inconscio collettivo (quello che induce uno sciamano nella sua tribù attraverso riti magici). Nonostante la pesante disinformazione su questi argomenti, bisogna essere consapevoli che i fenomeni ESP, negati categoricamente dalla scienza ufficiale per la mancanza di una spiegazione teorica, sono stati indagati con successo dall’apparato militare e dai servizi di intelligence, molto più interessati ai risultati pratici.

FONDATI SOSPETTI 
L’idea di Wilson è suggestiva e risponde a un quesito fondamentale che è l’unica obiezione giustificata mossa ai sostenitori delle nuove teorie: perché sono stati trovati soltanto i prodotti finiti della tecnologia dimenticata (es: le pietre levigate) e mai gli strumenti (es: le seghe e i trapani)? Il panorama è in realtà molto più complesso. Diversi strumenti del passato non sono stati riconosciuti al momento della scoperta e altri reperti vengono fatti sparire o considerati falsi. Bastano due esempi eclatanti.
 Le pile di Baghdad. Si tratta di vasi di terracotta vecchi di 2000 anni, contenenti un cilindro di rame e un tondino di ferro immersi nell’asfalto. Erano classificati come oggetti di culto fino a che non li notò Wilhelm Konig, negli anni ’30. Inserendo una soluzione elettrolitica (solfato di rame) il congegno produsse corrente elettrica.
Il geode di Coso. Nell’omonima località della California, negli anni ’60, venne alla luce una sfera incrostata di conchiglie fossili. Una radiografia mise in evidenza l’interno, formato da una sottile anima di metallo, circondata da una sezione circolare di materiale ceramico durissimo (tale da consumare la sega al diamante utilizzata per il taglio), con un cappuccio esagonale. Un esempio incredibile di tecnologia sconosciuta di 500.000 anni fa.
La cosiddetta paleoastronautica annovera decine di queste sconvolgenti anomalie della preistoria. Quindi, anche se le prove esistono, basta semplicemente ignorarle o screditare chi le propone. A questo punto, è necessario chiedersi se il ritardo di 150 anni della teoria rispetto alle prove oggettive sia fisiologico oppure patologico.
 Si tratta certamente di uno sgradevole meccanismo di filtro scientifico, messo in luce recentemente dal ricercatore Michael Cremo. Nel suo fondamentale trattato Archeologia proibita, egli dimostra l’infondatezza della linea evolutiva dell’Homo Sapiens, i cui fossili sono stati trovati, con certezza, in ere geologiche fino a 50 milioni di anni fa. Eppure le evidenze sperimentali che lo provano sono state occultate o screditate per più di un secolo, mentre autorità anonime hanno il potere di decidere quali ricerche vanno pubblicate sulle riviste scientifiche in modo che solo le teorie “gradite” guadagnino notorietà. La ricerca di M.Cremo ci svela solo la punta dell’iceberg: si può solo indovinare quanti reperti siano stati completamente soppressi. E tutto ciò è semplicemente dovuto a un circolo vizioso avviato dai vertici del sapere accademico?
Forse, invece, si può parlare esplicitamente di un piano preordinato di inganno ai danni dell’opinione pubblica. Ma a quale scopo? E’ noto che oggi l’economia e la politica mondiali sono in mano a pochi gruppi di potere (la lobby militare e finanziaria, le multinazionali, le case petrolchimiche) che, nel loro interesse, influenzano e dirigono l’operato dei governi, controllando le informazioni che possono raggiungere il pubblico. I vertici del potere politico ed economico, legati a doppio filo agli organismi militari e scientifici, sono responsabili di manipolazione delle notizie attraverso i mass media, di soppressione di tecnologie innovative che, per esempio, renderebbero il petrolio obsoleto. Il loro obiettivo è mantenere indefinitamente un ordine sociale ed economico vantaggioso per loro. La ricerca scientifica va, forzatamente, nella direzione indicata dai finanziatori. Non è una coincidenza che fondazioni private americane abbiano influenzato seriamente le ricerche sull’evoluzione dell’uomo all’inizio del ’900, sponsorizzando selettivamente le teorie neo-darwiniane. Non è plausibile che le conoscenze dei nostri predecessori aprano la porta verso un certo tipo di verità “scomode” a cui la struttura sociale mondiale non è pronta?
Potrebbe trattarsi di tecnologie rivoluzionarie, il cui impiego comprometterebbe l’establishment economico mondiale. Al solito, le tradizioni locali forniscono utili indizi. Gli antenati degli indigeni boliviani tramandavano la tradizione secondo cui gli edifici di Tiahuanaco furono realizzati in brevissimo tempo, sollevando e trasportando le pietre in aria al suono di una tromba. Nel ’400, lo storico egiziano Ahmed Al-Maqrizi riferiva che agli operai delle piramidi bastava appoggiare un foglio coperto di scrittura magica sopra un blocco di pietra per vederlo percorrere una distanza di 26  km. La tentazione di pensare a congegni anti-gravità è forte. Nel 1996 ricercatori dell’università di Tampere in Finlandia hanno dichiarato di aver ottenuto accidentalmente un effetto di perdita reale di peso di oggetti, mentre studiavano il comportamento di un super-conduttore. La notizia, apparsa sul Sunday Telegraph britannico, non sembra aver ricevuto molta attenzione, il che si inquadra perfettamente nel sistema di sabotaggio delle energie alternative, che ha colpito, ad esempio, la fusione fredda diMartin Fleischmann o il motore a idrogeno.
Informazioni ugualmente destabilizzanti sarebbero la scoperta di fenomeni naturali ancora poco conosciuti, capaci di mettere periodicamente in pericolo la vita sulla Terra (NOTA 10), o la conferma dell’esistenza di intelligenze extraterrestri (NOTA 11). Tra i reperti proibiti, M.Cremo annovera diversi oggetti artificiali, fossili e impronte di uomo rinvenuti in strati del periodo Carbonifero, ed altri del Pre-Cambriano, fino a 2,8 miliardi di anni fa. Questi manufatti metterebbero in crisi le teorie sull’origine casuale e sullo sviluppo della vita sulla Terra (NOTA 12). Notizie del genere non raggiungono il pubblico, mentre un’élite di studiosi conduce delle ricerche riservate per conto di strutture segrete.
Antiche costruzioni rese irriconoscibili dalla vegetazione sono state spesso ritrovate grazie a rilevamenti satellitari. E’ plausibile che una struttura così maestosa e visibile come la Grande Piramide Bianca di Xian in Cina (un colosso di 300 m di altezza) sia sfuggita accidentalmente ai sensori? Soltanto oggi, a 50 anni dalla scoperta, la sua esistenza è stata resa nota. Forse la rivoluzione archeologica può essere il primo passo verso la rivelazione di una vera e propria realtà nascosta.

 

La Grande Piramide bianca di Xian
Figura 28. La Grande Piramide bianca di Xian (Cina)

 


NOTA 1: Su questo argomento un documentario sull’Antico Egitto, trasmesso da Quark, è molto più ottimista: sarebbero sufficienti 6 uomini per trasportare un blocco di 6 t su per una rampa del 10% di pendenza. Ciò equivale a dire che ciascun uomo possa tirare in salita, per diversi chilometri, una automobile familiare con le ruote frenate che strisciano. RITORNA
NOTA 2: Infatti, a causa dell’oscillazione dell’asse terrestre (che descrive un cono nel cielo ogni 26000 anni), ogni 2160 anni circa, il sole sorge, all’equinozio di primavera, in una costellazione diversa. Quando il sole sorge nella costellazione in cui tramontava, ha attraversato metà della fascia zodiacale, cioè sono passati 13000 anni. Quindi, all’epoca di Erodoto si sarebbe compiuto un ciclo precessionale e mezzo, equivalente a 39000 anni.RITORNA
NOTA 3: In questa occasione gli architetti introducono per la prima volta l’espediente delle camere di scarico: 7 vani posizionati al di sopra del soffitto, con la funzione di alleggerire la flessione sulla struttura. Come calcolarono la giusta dimensione al primo progetto? RITORNA
NOTA 4: L’astronomo C.A. Newham, negli anni ‘60, ha confermato che il cerchio di pietre di Stonehenge costituisce un sofisticato calendario solare, che funziona come una meridiana. Coloro che realizzarono i numerosi allineamenti, cerchi ed ellissi di pietre che si trovano in Inghilterra e in Bretagna avevano solide nozioni di geometria e conoscevano il p, 3000 anni prima di Euclide e Pitagora. RITORNA
NOTA 5: Il capodanno egizio cade all’alba del giorno in cui Sirio sorge immediatamente prima del sole. L’intervallo tra due successive levate eliache di Sirio è esattamente 365,25 giorni, perciò lo spostamento graduale (0,25 giorni/anno) del punto in cui sorge la stella scandisce, come un orologio, lo sfasamento del calendario rispetto alle stagioni. Questo spiega la venerazione degli Egizi per Sirio. Approssimativamente, la rotazione si completa in 365/0,25= 1460 anni. In realtà l’esatta frazione di anno persa è 0,2422, per cui il vero ciclo di rotazione è  365/0,2422=  1507 anni. RITORNA
NOTA 6: Oltre ad oscillare, causando la precessione, l’asse di rotazione terrestre si inclina diversamente rispetto al piano dell’orbita. L’angolo formato dal piano dell’eclittica (piano orbitale) con il piano dell’equatore celeste (prolungamento dell’equatore terrestre, solidale con l’asse) è detto obliquità dell’eclittica, e varia, regolarmente, tra 21°55’ e 24°20’ in un periodo di circa 41000 anni. Oggi l’obliquità è 23°27’. I calcoli di Posnansky, controllati da diversi astronomi, dimostrano che i monumenti di Tiahuanaco furono innalzati quando essa era 23°8’48″, circa 17000 anni fa. RITORNA
NOTA 7: Come ha recentemente riscoperto Zecharia Sitchin, esperto di civiltà orientali, i Sumeri possedevano una complicata astronomia sferica (che implica la conoscenza della sfericità della terra), distinguevano dettagliatamente le stelle fisse dai pianeti  e dagli altri fenomeni celesti, come meteore e comete, avevano precise tavole delle effemeridi e prevedevano regolarmente le eclissi. Inoltre possedevano una sorprendente cosmologia che descrive l’origine del sistema solare, di cui conoscevano tutti i pianeti del fino a Plutone, e definirono il Grande Anno di 25920 anni (una stima eccezionale del ciclo di precessione). Tutto ciò dovrebbe essere il risultato di secoli di osservazione del cielo con adeguati strumenti. Alcuni studiosi affermano che il calendario sumero iniziasse attorno all’11600 a.C. RITORNA
NOTA 8: Nelle loro rappresentazioni artistiche, tra cui le famose teste in basalto, si distinguono nettamente sia tratti somatici negroidi che di caucasici barbuti (gli amerindi sono glabri). Su ceramiche e steli gli studiosi di cinese antico Han Ping Chen e Mike Xu hanno scoperto diverse figure identiche a ideogrammi cinesi del 1200 a.C. Gli Olmechi possedevano già un alto livello tecnico nella realizzazione di sofisticate opere idrauliche e di piramidi. RITORNA
NOTA 9: Prima del XVIII secolo, non esistevano cronometri abbastanza precisi per calcolare con esattezza la longitudine durante la navigazione e il rilevo topografico delle coste. RITORNA
NOTA 10: Per esempio l’inversione dei poli magnetici. Durante tale fenomeno, gli esseri viventi sarebbero indifesi dalle radiazioni cosmiche ad alta energia, normalmente schermate dal campo. Si pensi che non è ancora stata formulata una teoria scientifica chiara che spieghi l’esistenza stessa del campo magnetico terrestre. RITORNA
NOTA 11: Il fenomeno UFO è troppo vasto e complesso per poterlo affrontare in una nota. Essendo di stretta competenza delle autorità militari, per le evidenti implicazioni sulla sicurezza nazionale, è da sempre oggetto di insabbiamento e disinformazione. Basti sapere che la casistica di avvistamento di oggetti volanti non identificati, non è peculiarità degli ultimi 50 anni, ma è documentata nel medioevo, in età romana, e, forse, in diversi brani della Bibbia. RITORNA
NOTA 12: Oggi gli scienziati non hanno idea di come i composti organici del cosiddetto “brodo primordiale” si siano organizzati “spontaneamente” nel formare la prima cellula, trasgredendo il III Principio della Termodinamica. Alcuni, inoltre, ritengono che mutazioni casuali del patrimonio genetico non possano essere le sole responsabili nell’evoluzione della vita terrestre, sfidando la visione meccanicistica dominante.

FONTI:
Robert Bauval-Adrian Gilbert, Il mistero di Orione, Corbaccio, 1997.
Maurice Cotterel-Adrian Gilbert, Le profezie dei Maya, Corbaccio, 1996.
Michael Cremo-Richard Thompson, Archeologia proibita, Gruppo Editoriale Futura, 1997.
Georges Goyon, Il segreto dele grandi piramidi, Newton Compton, 1980.
Graham Hancock. Impronte degli Dei, Corbaccio, 1996.
Francis Hitching, Atlante dei Misteri, De Agostini, 1982.
Kurt Mendelssohn, L’enigma delle piramidi, Mondadori, 1976.
Roberto Pinotti, Angeli, dei, astronavi, Mondadori, 1991.
Zecharia Sitchin, Il dodicesimo pianeta, Edizioni Mediterranee, 1983.
Colin Wilson, Da Atlantide alla Sfinge, Virgin Books, 1996.

Amateur Astronomy & Earth Sciences, n°9, agosto-settembre 1996.
Egitto, collana Fabbri Video, 1997.

Fonte

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